La donazione è un atto solenne che ha delle regole specifiche.
Perché essa sia valida, infatti, occorre il notaio: deve essere stipulata mediante un atto pubblico che è, appunto, il rogito notarile, alla presenza di due testimoni. Non basta, quindi, la semplice scrittura privata. Le spese dell’atto notarile sono a carico del donatario (cioè, in questo caso, del figlio), salvo che le parti si mettano d’accordo diversamente.
Quando i genitori donano una casa al figlio il bene viene trasferito al donatario (appunto, il figlio) senza che egli debba pagarne il prezzo, in quanto la donazione è un atto fatto “per spirito di liberalità” e, dunque, senza chiedere soldi in cambio.
Purtroppo, questo gesto di affetto non è esente da rischi.
Innanzitutto, la donazione è sempre revocabile per ingratitudine del donatario; il donante, cioè, può revocarla quando il donatario ha commesso un attentato alla vita del donante o si è reso colpevole di ingiuria grave nei suoi confronti o ha arrecato dolosamente un grave pregiudizio al suo patrimonio. La donazione è sempre revocabile, inoltre, per sopravvenienza di figli; nel caso, cioè, in cui al donante nascano nuovi figli dopo la donazione.
Il rischio maggiore, comunque, si verifica al momento della morte del donante.
Facciamo un esempio.
I genitori donano un appartamento al figlio Paolo. Tuttavia, i genitori di Paolo hanno anche altri due figli, Michele e Giovanna, ai quali non hanno mai fatto donazioni. Il padre muore, senza lasciare testamento, e si apre la successione ereditaria.
Nel nostro diritto, il coniuge e ciascuno dei figli ha diritto ad una specifica quota dell’eredità (chiamata quota di legittima) che è ad essi riservata per legge.
Il donatario (colui che ha ricevuto la donazione), se esso è figlio, discendente del figlio o coniuge del defunto, al momento dell’apertura della successione deve effettuare la c.d. “collazione”, salvo che ne sia stato espressamente dispensato dal defunto; deve cioè conferire alla massa ereditaria tutti i beni mobili e immobili ricevuti a titolo di donazione dal defunto quando questi era in vita. L’effetto pratico è che tutti i beni donati agli eredi obbligati finiscono nella massa dei beni comuni; una volta fatto questo si procederà alla divisione dei beni, in proporzione delle rispettive quote legittime.
Quindi, nel nostro esempio, Paolo avrà l’obbligo di effettuare la collazione, conferendo nella massa ereditaria la casa ricevuta in donazione. Può sottrarsi a tale obbligo, se ne è stato esentato espressamente dal defunto nella donazione o nel testamento oppure se rinuncia all’eredità.
Se, a causa di questa donazione fatta al figlio Paolo, non sono state rispettate le quote di legittima, gli altri eredi (chiamati “legittimari”) possono proporre davanti al Tribunale competente l’azione di riduzione entro dieci anni dalla morte del donante (il padre). L’azione di riduzione è un procedimento giudiziale mediante il quale Giudice accerterà se vi è una lesione delle quote ereditarie e, in tal caso, dichiarerà l’inefficacia, con effetto retroattivo, dell’atto di donazione lesivo delle quote di legittima.
E’ importante sapere che la pronuncia di inefficacia ha effetti sia nei confronti del donatario che dei suoi aventi causa; questo significa che se il giudice accerta la lesione delle quote e non sono trascorsi ancora venti anni dalla morte del donante, gli altri eredi potranno materialmente riprendere la casa donata a Paolo, anche se lui, nel frattempo, l’aveva già venduta a terzi.
Questo è un rischio effettivo; pertanto, quando si compra una casa, bisogna sempre fare attenzione se chi la vende l’ha ricevuta in donazione e, possibilmente, evitare questo tipo di acquisto.
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Foto Binyamin Mellish da Pexels