Una premessa: il termine divorzio in realtà è un termine un pò improprio. Per la legge italiana, infatti, esiste lo scioglimento del matrimonio (quando il matrimonio è stato celebrato con rito civile solo in Comune) e la cessazione degli effetti civili del matrimonio (quando il matrimonio è stato celebrato in chiesa con “rito concordatario”, e che quindi risulta valido anche per lo Stato italiano).
Detto ciò andiamo a spiegare cos’è l’assegno “divorzile”, come viene comunemente chiamato.
L’assegno divorzile è riconosciuto dall’art. 5 della Legge 1° dicembre 1970 n. 898 (la legge che regola il divorzio) che afferma che “il Tribunale dispone l’obbligo per un coniuge di somministrare periodicamente a favore dell’altro un assegno quando quest’ultimo non ha mezzi adeguati o comunque non può procurarseli per ragioni oggettive”.
Quindi i presupposti perché un coniuge possa ottenere l’assegno divorzile sono:
-che non abbia i mezzi adeguati per sostenersi;
oppure
-che non possa procurarseli per ragioni oggettive.
le Sezioni Unite Civili della Corte di Cassazione, con la sentenza dell’11 luglio 2018 n. 18287 hanno chiarito che il parametro sulla base del quale deve essere fondato l’accertamento del diritto all’assegno ha natura composita (assistenziale ma anche compensativa), dovendo l’inadeguatezza dei mezzi o l’incapacità di procurarli per ragioni oggettive essere desunta dall’esame dei criteri dettati dall’art. 5, comma 6, L. 898/70 e dalla valutazione del contributo fornito dal coniuge economicamente più debole alla formazione del patrimonio comune ed alla formazione del profilo economico patrimoniale dell’altra parte, anche in relazione alle potenzialità future.
Quindi per la concessione del beneficio, non è sufficiente che uno dei coniugi abbia un reddito inferiore all’altro e non sia in grado di essere indipendente e vivere in modo dignitoso ma è necessario che la causa di tale differenza reddituale siano state le decisioni adottate, insieme, dai coniugi durante il matrimonio, e che tali decisioni siano state dirette a preferire la realizzazione professionale dell’altro coniuge a discapito del richiedente l’assegno.
Quindi, riepilogando, il Giudice, per decidere se è dovuto, ed eventualmente in che misura, l’assegno divorzile, dovrà tenere conto dei parametri indicati nell’art. 5, comma 6 della l. 898/70 e quindi dovrà:
- prima di tutto comparare le condizioni economiche dei due coniugi per vedere se c’è una disparità di redditi e di condizioni economiche e patrimoniali;
- verificare, in concreto e con esame rigoroso, se colui che chiede l’assegno è privo di mezzi adeguati a sostenersi o comunque è impossibilitato, anche per il futuro, a procurarseli per ragioni oggettive (ad esempio perché è malato o è un disabile grave oppure è in età avanzata);
- accertare, in concreto, il contributo personale ed economico che il richiedente l’assegno ha apportato al nucleo familiare; accertare se questo contributo è stato il frutto di una decisione presa insieme dai coniugi per il ménage familiare e se tale scelta è stata la causa della situazione in cui si trova il richiedente l’assegno al momento del divorzio. Il giudice dovrà verificare, quindi, nel caso concreto, se il richiedente abbia sacrificato le proprie aspettative professionali per contribuire alla cura della famiglia e se questa scelta è la ragione per cui esso, al momento del divorzio, si trova in una situazione sperequata rispetto all’altro coniuge;
- dovrà poi anche tenere conto della durata del matrimonio.
E’ importante ricordare che la legge prevede la possibilità che l’assegno divorzile sia versato al richiedente che ne ha i requisiti mediante un assegno periodico oppure mediante una somma “una tantum”, ossia data una volta sola.
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